Martedì 5 e Mercoledì 6 febbraio 2008 – il gate tra la libertà negata e l’ipocrisia

Martedì 5 febbraio 2008

Oggi sono stato di guardia in una delle mie classi, quella del primo anno, mentre svolgevano l’esame di scrittura. Nel pomeriggio, a casa, mi sono dedicato ai test degli scorsi giorni e ho quasi terminato di correggerli. Ho avuto qualche soddisfazione dagli studenti del primo anno… solo grande delusione invece dai compiti di grammatica della seconda, un disastro! Io cerco di difenderli, ma mi accorgo sempre più che la realtà è che voglia di studiare in quella classe ne hanno poca o niente.

Mercoledì 6 febbraio 2008

Oggi esami orali della seconda.

C’eravamo io, E. e M. seduti alla cattedra, la vecchia aula di fronte a noi era inanimata, c’era la luce del sole grosso e caldo del Medio Oriente che trapassava con gentilezza i vetri delle finestre e dei mosaici colorati di giallo e celeste, c’era l’albero di pepe al di là delle inferriate, c’era il profumo di polvere e sabbia e quello dello shay halib, il tè con il latte, c’erano le sedie con gli scrittoi in legno chiaro, c’erano i poster appesi e i disegni sulle pareti, c’erano i ragazzi ad aspettare fuori il loro turno, con libri e quaderni in mano, in attesa di essere chiamati all’appello e di essere interrogati.

Quando è arrivata l’ora ed eravamo pronti per cominciare gli esami, mi sono spostato sulla soglia della porta e ho citato il nome del primo fortunato, A., ho fatto la stessa azione ogni volta che dovevo invitare qualcun altro degli studenti a sedersi dentro quell’aula spoglia, assieme a noi, di fronte a noi, a riempire quel vuoto insolito con le proprie parole. Era lo stesso meccanismo di cui tante volte sono stato parte integrante, anche in questo caso rappresento una delle tante rotelline che si muove all’interno di una macchina composta di centinaia di ingranaggi, solo che qui, dentro questa macchina, ricopro un ruolo diverso. Immagini vissute e rivissute tutte le volte che, nel corso di questi ultimi anni, ho dovuto sostenere degli esami all’università, quando ho atteso nei corridoi luminosi e spaziosi della Caserma Sani, all’Esquilino, o tra i corridoi semibui costellati di teche e vetrine di una dei tanti squadrati e freddi blocchi razionalisti di cemento dell’Università La Sapienza; inquieto, tra ragazzi e ragazze, seduti sul pavimento, su panchine o in piedi, fermi o in movimento, con i libri aperti e le pupille che, scorrendo tra le righe di testi accademici lisi dalle decine di volte in cui sono stati sfogliati e sottolineati, rimbalzavano come palle pazze a destra e sinistra, sopra e sotto, l’ansia stampata sui loro visi, sul mio, le labbra secche che, mentre si ripassava, tremolavano come quando si recita sottovoce una preghiera, gli improvvisi vuoti di memoria che ti facevano scoraggiare “cosa diceva questo capitolo, cazzo!?”, l’attesa che uscissero altri studenti per scoprire come fosse andata, per chiedere quali fossero state le domande e se il professore fosse stato stronzo o meno, i crampi allo stomaco, le lettere dell’alfabeto che, esame dopo esame, scorrevano rapide come fiumi in piena in direzione dell’iniziale del tuo cognome che, a occhio e croce, sarebbe potuta arrivare tra cinque o sei lettere, cinque o sei esami e poi sarebbe toccato a te.

I voti sono andati dal 10/70 al 65/70… l’unica ragazza che frequenta quella classe aveva il fiatone, le labbra scolorite, le pupille dilatate… era tesa… e io, evidentemente, ero il motivo della sua tensione… perché ero il professore che avrebbe potuta incalzarla con domande difficili e che, poi, alla fine, l’avrebbe pure giudicata. L’ho tranquillizzata, le ho detto di non preoccuparsi, ho provato a farla sentire a suo agio, le ho fatto qualche battuta, si è rasserenata e la sua interrogazione è andata pure bene!

I miei esami sono finiti! Da ora fino al 17 febbraio dovrò fare i turni di “guardia” e poi il 18, a mezzanotte, si torna in Italia per poco più di una settimana!

Di sera sono stato invitato a cena da G.. Il menu prevedeva bucatini alla amatriciana, selezione di formaggi stagionati, fagioli, uova con le acciughe e tiramisù… insomma cucina tipicamente yemenita! Poi insieme a lui e un altro gruppetto ce ne siamo andati pure in discoteca… mi sa che sono andato più volte in discoteca in Yemen che da qualsiasi altra parte nel corso della mia vita… ho ballato e bevuto, giusto per sfogarmi un po’.

Piccola curiosità: ho notato che spesso, all’ingresso delle discoteche, ci sono delle ragazze, immagino yemenite, che fuori da questi luoghi indossano veli neri che, in certi casi, coprono persino gli occhi, niqab e burqa, poi attraversano un gabbiotto, quello della security e, come per magia, si proiettano in una dimensione parallela (quella della discoteca) dove riappaiono svelate, truccatissime, con vestiti non proprio casti e atteggiamenti che non definirei “casa e chiesa”, anzi “casa e moschea” in questo caso. Tuttavia quella trasformazione non è genuina voglia di godersi la libertà per molte di loro, ma lavoro. Praticamente quelli sono gate che collegano un mondo dove la libertà è negata a mondi fatti di un’ipocrita libertà dove le donne diventano oggetti da comprare.

 

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Martedì 5 e Mercoledì 6 febbraio 2008 – il gate tra la libertà negata e l’ipocrisiaultima modifica: 2021-04-06T18:53:23+02:00da chumbawumba
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