Mercoledì 30 gennaio 2008 – lungo il viale del campus

Mercoledì 30 gennaio 2008 
 
Questa mattina l’aria a Sana’a è pungente e secca, il cielo azzurro è sgombro di nubi e, se volto lo sguardo alla mia destra, le sagome delle montagne rossastre sono talmente nitide che sembrano essere disegnate da un artista vedutista, tratteggiate all’orizzonte per alimentare l’alone di mistero di cosa si nasconda alle loro spalle rocciose. Adoro la mia giornaliera passeggiata verso il dipartimento di Italiano, tra passi lenti, sguardi ampi, respiri profondi e riflessioni su di me e sulla mia vita. Per strada incrocio i soliti maestosi camion verdi sovietici con le luci a palla che trasportano pietre, le vecchie auto della Toyota e della Peugeot che scricchiolano e sbuffano aliti anneriti da marmitte arrugginite e mettono alle strette la quiete di un luogo in cui, altrimenti, essa regnerebbe sovrana tra quei campi spogli abitati da pochi alberelli dalle chiome folte e le piccole ombre, le isolette di edifici color sabbia delle facoltà con i loro nomi scritti in arabo sulle facciate sembrano cattedrali nel deserto, gli studenti in gruppetti separati di ragazzi e ragazze con i libri in mano confabulano, ci sono i passanti dai visi scarni, la pelle bruciata dal sole che indossano abiti tradizionali con la jambiyya alla cintura e la kefiah in testa, c’è un brusio di motori e voci, c’è un miscuglio di smog e aromi di spezie, ci sono i muezzin che invitano alla preghiera da ogni angolo della città e il coro delle loro voci acute e ondulate diventa un’unica grande litania affascinante trasportata dal vento tra le vie di una città senza tempo. Comincio a percepire questa atmosfera come mia, familiare, mi riempie il cuore vedere i loro sorrisi, la loro quotidiana normalità, le loro guance gonfie. Penso, penso e penso mentre i miei passi scricchiolano sulla polvere mista a sabbia e sassolini del marciapiede, la mente vaga su ali di entusiasmo che concludono i loro viaggi eterei con una domanda ricorrente: “ma chi me lo doveva dire che un giorno mi sarei ritrovato a vivere una fetta della mia vita nel posto più meridionale della penisola araba, nel paese della regina di Saba”.
Sono arrivato al dipartimento, ci sono meno studenti in questi giorni. Per esempio, a lezione si è presentato solo uno studente della seconda, gli altri hanno fatto ponte in attesa dei giorni d’esame, preferiscono prepararsi a casa.
 
Intanto ho scoperto una novità: dovrò ricoprire il ruolo del rompicoglioni che fa la guardia durante le sessioni degli esami degli studenti di altre materie (inglese, tedesco, turco ecc…) il ruolo di quelli che mal sopportavo quando facevo io gli esami, quelli che gironzolavano con lo sguardo perfido e il dito puntato, ma io non sarò come loro, sarò buono a meno che non fanno gli spudorati – quindi vedremo!
 
Dopo lezione, sono andato a recuperare il mio modesto stipendio in ambasciata e ho trascorso un’oretta lì chiacchierando un po’ con tutti, mi conoscono tutti ormai là dentro!
 
Ultima tappa: la sede organizzativa dell’università: devono finalizzare le pratiche per emettere il mio permesso di residenza (sì, ancora devono farlo…), dunque ho lasciato loro il passaporto. Li ho avvertiti della mia imminente partenza e mi hanno richiesto una carta bollata dalla facoltà di lingue in cui si dichiara che ho il permesso di farlo… che due palle! Scassano la minchia a piccole dosi… mi comunicano le cose una alla volta! Comunque non scappo, torno eh, state tranquilli! Ora vediamo di ottenere questo permesso… il 19 febbraio devo partire… ho già il biglietto confermato!
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Mercoledì 30 gennaio 2008 – lungo il viale del campusultima modifica: 2020-12-27T17:58:14+01:00da chumbawumba
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