Giovedì 17 gennaio 2008 – Wajdi, il Filosofo della Quarantena

Giovedì 17 gennaio 2008

Oggi ho incontrato lo scrittore Wajdi Al-Ahdal. È stato un incontro estremamente affascinante, era la prima volta che mi capitava di “intervistare” uno scrittore. Dopo una corrispondenza intrecciata tra email sue in arabo e le mie in un mix di arabo scolastico e inglese, ci siamo dati appuntamento in un caffè di Sana’a, volevo spiegargli il mio progetto.

Quando sono arrivato, lui era già lì, in piedi, che mi aspettava all’ingresso composto e con un’espressione timida. Intorno c’erano alberi di pepe e un cortiletto, dei tavolini colorati e tanti giovani che bevevano tè o succhi mentre chiacchieravano gioiosi, sembrava di essere in un luogo segreto, nascosto in un angolo periferico della magica città di Sana’a, come se il cancelletto che divideva l’esterno dall’interno di quel maqha fosse un gate di passaggio per raggiungere un mondo parallelo che, a pelle, trasmetteva serenità.

Ero emozionato e non ero certo di essere all’altezza di gestire quel dialogo, non ero sicuro delle mie capacità linguistiche, della mia cultura e di sapere affrontare gli argomenti nel modo corretto. In fondo, stavo per incontrare, in persona, la fonte di ispirazione della mia tesi di laurea specialistica della facoltà di Studi Orientali, ossia un tassello che resterà parte della mia vita nel fluire degli anni, resterà vivo sotto forma di migliaia di parole impresse su pagine di carta e rilegate da una copertina blu ruvida con sopra incisi il mio nome e il viso di Minerva, simbolo dell’università La Sapienza, resterà vivo sotto forma di memorie indelebili nella mia mente e nei miei racconti quando sarò più maturo.

Wajdi è un uomo di 35 anni, con i capelli brizzolati che contornano la forma della sua testa dalla fronte alta e un baffetto scuro che risalta prepotente sopra le sue labbra sottili e la sua pelle olivastra; sotto le sue sopracciglia folte e marcate che sembrano due sorrisi capovolti, i suoi occhi brillano e ti accolgono. Brillano della luce dell’intelligenza e dell’umanità, in quello sguardo profondo giacciono la sua vita e le vite inventate dei suoi racconti, lì dentro galoppa la sua fantasia, in quelle pupille castane si riflette il mondo che lo circonda e il mondo che, idealmente, desidererebbe.

Indossava un abito blu di qualche taglia più grande con la giacca che, in stile anni ’90, scendeva sino alle sue cosce, la sua camicia bianca, invece, aveva il colletto sbottonato.

È una persona modesta e umile, mostrava un elegante senso di cortesia e dall’atteggiamento, paradossalmente, sembrava quasi fosse lui a essere riconoscente nei miei confronti, a essere lui onorato della visita di uno studente sconosciuto, come me, venuto da chissà dove per fargli delle domande, forse pure banali.

Quell’incontro è stato un viaggio di emozioni, tra stima e orgoglio. Lui mi parlava in arabo con un tono pacato e un volume sommesso che talvolta rendeva più complicata la mia comprensione del suo dialetto, così mi aiutava, rallentava, scandiva, ripeteva una, due o tre volte, pazientemente, tirando fuori qualche parola in inglese pronunciata alla meno peggio, come facevo anche io d’altronde, o per mezzo di qualche gesto.

Wajdi è l’autore di Qawarib Jabaliyya (Navi di Montagna), una storia cruda e controversa, una critica a politica e religione che ha scatenato una rivolta dei conservatori radicali yemeniti perché, a detta loro, offensiva nei confronti delle loro tradizioni. Questa storia è stata censurata e gli è costata una condanna a reclusione per blasfemia e per aver insultato l’esercito, ma anche minacce di morte da parte degli estremisti islamici dalle quali è sfuggito ricorrendo a un esilio durato svariati mesi a Damasco; questa storia gli è costata un enorme trauma psicologico, dal quale è riuscito a venirne fuori soltanto dopo l’intercessione del nobel tedesco Günter Grass, grazie al quale ha potuto fare rientro, in sicurezza, a Sana’a.

Secondo Wajdi al Ahdal la realtà yemenita è profondamente manipolata e controllata dalla vicina Arabia Saudita e così anche paesi come l’Egitto e il Pakistan. Mi raccontava, inoltre, che il livello che si raggiunge studiando all’università in Yemen è minore di quello che si ottiene in Tunisia o in Iraq, in alcuni casi c’è gente che va all’università e non sa scrivere. L’arma per rinascere è una soltanto: la cultura, di questo ne è convinto.

Alla fine mi ha anche regalato e autografato due dei suoi libri: Faylasuf Al-Karantina e As-suqut min sharfa al-‘alam.

Oggi posso dire di aver conosciuto una persona speciale, una di quelle persone da prendere come esempio, come fari nella notte, una di quelle persone in grado di cambiare le coscienze e di contribuire, mettendosi in gioco, alla nascita di un mondo migliore.

textgram

Giovedì 17 gennaio 2008 – Wajdi, il Filosofo della Quarantenaultima modifica: 2020-09-05T14:47:38+02:00da chumbawumba
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