Domenica 13 gennaio 2008 – con oggi due mesi

Domenica 13 gennaio 2008 – due mesi

Con oggi sono esattamente due mesi che mi trovo in Yemen… il tempo vola eh! Sono andato a ritirare l’esito dell’esame del sangue e, per fortuna, è tutto ok. Adesso posso completare l’iter burocratico e che Allah ce la mandi buona!

Premessa:

momentaneamente, noi sfigati della facoltà di lingue vaghiamo come nomadi tra le classi della facoltà di Legge poiché la struttura dove dovremmo essere è in manutenzione.

Data la premessa, adesso passiamo alla cronaca dei fatti.

Sto impartendo la mia lezione al primo anno, la luce del sole illumina i banchi, io sono poggiato con il sedere sul bordo della cattedra e il libro in mano, come nei film americani dove i professori sono dei giovani carismatici, osservo i miei studenti, sguardo per sguardo, stiamo leggendo un brano del nostro manuale “ReteUno”, l’articolo parla della cultura italiana, della musica, dell’arte, dei suoi pittori; mentre analizzo il testo assieme a loro, mi sento fiero delle mie origini, dai miei occhi sprizza soddisfazione e, inoltre, sono fiero del ruolo educativo che ricopro. D’un tratto, la porta alla mia destra si spalanca, mi distrae, mi volto, spuntano una serie di figure umane, saranno sette o forse otto ragazzi. Li scruto attentamente, un po’ allibito e un po’ risentito per la brusca interruzione a quella nenia di gloria nazionalista con cui mi sto cullando. Mi chiedo: chi cazzo sono e che cazzo vogliono questi arroganti che irrompono d’improvviso senza nemmeno bussare? Lo scopro poco dopo. Sono degli studenti, sì, proprio degli studenti, ma non i miei, hanno un atteggiamento sfrontato e dei testi sotto braccio, hanno fatto irruzione rivendicando che l’aula serve a loro. Sto in silenzio, poi, sceso dalla cattedra, con pazienza e gentilezza, gli riferisco che, come possono notare con i loro stessi occhi, in quel momento, in quella specifica aula ci sono io e non ho terminato la mia lezione. Questa scena si ripete due o, forse, tre volte con questi studenti ribelli che, apparentemente, recepiscono il messaggio ed escono per poi rientrare. Ciò è durato fin quando, in tutto il suo splendore, non è apparso il loro guru, il professore di diritto islamico, barbuto, con il capo coperto di cotone bianco e un cordone nero cinto sulle tempie, un lungo qamis e la jambiyya (il pugnale yemenita) alla cintura. Lui, orgoglioso, con passo spedito e totale indifferenza nei miei confronti, entra di prepotenza e si accomoda di peso, come se nulla fosse, sulla sedia dietro la mia cattedra… non mi guarda nemmeno in faccia… che grande! che mito, penso tra me e me!

Tra voci grosse e tumulti in arabo, si era sul punto di dare avvio a una rissa dato che i miei studenti si sono compattati in mia difesa, battibeccandosi accesamente con gli studenti dell’altra classe…

Morale della favola: abbiamo dovuto lasciare l’aula, per amore della pace, fortuna che mancavano solo pochi minuti alla fine!

Non è la prima volta che accade che qualcuno appaia senza preavviso in aula. Una volta durante una festa era accaduto qualcosa di simile. L’altro giorno, invece, è entrata una donna che chiedeva l’elemosina mentre spiegavo un argomento di grammatica, è giunta fino alla cattedra indicandomi il cielo!

Dopo due mesi posso fare un secondo resoconto:

innanzitutto la mia dimestichezza con la lingua araba migliora di giorno in giorno, ma ancora ce ne vuole per poter asserire di saperlo parlare! Quando si tratta di discorsi attinenti a pratiche burocratiche mi perdo in un oceano di incertezze e non li capisco, li guardo attonito e non so cosa rispondere. Work in progress.

Questo paese, con la sua gente, le sue peculiarità a volte difficilmente comprensibili ai miei occhi, mi stupisce e mi affascina, mi ammalia e mi sconcerta. Sono felice di essere qui. Ogni giorno è una scoperta: l’università, con gli studenti e il loro comportamento tra le aule e i corridoi della facoltà, è vivace, i dabab risultano essere dei mezzi di trasporto funzionali, il qat è in ogni angolo della città, tante donne coperte e volenterose hanno il desiderio di aprirsi al mondo, di riscattarsi, la religione islamica e le loro tradizioni, le moschee e i mueddhin rappresentano un mondo d’oriente affascinante, il cibo è delizioso e speziato, la politica sembra non esistere ma è, in realtà, silenziosamente onnipresente e ambigua, i venditori ambulanti vendono ogni tipo di merce, i profumi inebriano l’aria, c’è la repressione sessuale, gli uomini che camminano per mano e i matrimoni con feste di genere separate, la loro vita in generale è unica, e in cima a tutto quanto menzionato sopra, c’è, non ultima, la bellezza, la bellezza estrema di una delle città più incredibili che esistano al mondo, Sana’a, l’essenza di una città inimitabile, l’anima immortale di un luogo mistico.

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Domenica 13 gennaio 2008 – con oggi due mesiultima modifica: 2020-08-16T20:31:35+02:00da chumbawumba
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