Domenica 18 novembre 2007 – ‘aaaaala jaaaanb!

E oggi si comincia!

Per l’occasione, ho dato un ritocco alla barba e indossato una giacca di velluto marrone, la stessa utilizzata nel giorno della mia proclamazione alla laurea triennale. Nella ventiquattro ore ho sistemato i libri, un registro con l’elenco dei nomi e dei cognomi e una penna .

Dalle 9.00 alle 11.00 del mattino ho iniziato con la primissima lezione alla classe del secondo anno! Gli studenti non sono totalmente all’oscuro della lingua, già masticano un po’ di Italiano, cioè in un modo o in un altro sono in grado di esprimersi e, soprattutto, sembrano incuriositi dalla novità del mio arrivo. In aula c’è una sola ragazza e tiene il volto scoperto, indossa l’hijab.

Stare dietro ad una cattedra, oggi, mi ha fatto sentire orgoglioso, ho percepito un’onda di entusiasmo scorrere tra le mie vene. In effetti sto realizzando uno di quei sogni che credevo rimanessero lì, abbandonati dentro a quel cassettino dove spesso tendiamo a custodire gelosamente alcune nostre speranze, le nostre ambizioni e i nostri desideri.

Dopo aver completato la lezione introduttiva al secondo anno, dalle 11.00 alle 14.00 mi sono spostato nell’aula del primo anno dove, invece, si comincia da zero, dall’ABC dell’Italiano. Ci sono una trentina di studenti, molte ragazze, la maggior parte delle quali, come già menzionato in precedenza, indossa il velo integrale (niqab). Sono tuttavia rimasto colpito dal loro inaspettato atteggiamento. Dopo una fase iniziale di timore, timidezza e tentennamento generale, proprio loro si sono mostrate spigliate, volenterose e hanno di gran lunga anticipato i ragazzi nel tirare su le braccia col quaderno in mano affinché potessi controllare se avessero effettuato gli esercizi in modo corretto. Vedere quello stuolo di mani (talvolta con dei guanti lucidi), maniche nere ricamate e quaderni sventolare in aria come bandiere in festa mi ha entusiasmato. Immagino che nonostante sia un uomo, io per loro sono soprattutto il professore, con me possono relazionarsi liberamente e probabilmente quest’ora di corso rappresenta, entro i limiti ovviamente, una specie di evasione dalla loro routine quotidiana, una boccata d’aria dal sapore nuovo. Di tanto in tanto, dispensando complimenti qua e là per l’aula se eseguivano un esercizio correttamente, nel contemplare i loro occhi pieni di vitalità, notavo che traspariva un alone di soddisfazione: un velo può coprire un corpo, non c’è dubbio, ma in questi giorni sto realizzando che non è in grado di oscurare degli stati d’animo; gli occhi sono lo specchio dell’anima, è vero, mai stato così vero come adesso che ne ho un palese riscontro.

Al termine della lezione, una delle pochissime studentesse dal volto scoperto, con un hijab variopinto a fiori, uno splendido sorriso a mezzaluna sulle labbra ed i libri in mano si è addirittura fermata alla cattedra per raccontarmi, in un ottimo inglese edulcorato da qualche vocabolo italiano, che i suoi nonni sono stati in Italia e ne parlano fluentemente la lingua. Ho scoperto poco dopo che lei ha origini etiopi, il ché spiega questa connessione con l’Italia; probabilmente i suoi nonni hanno vissuto personalmente l’epoca del colonialismo fascista, quel grigio capitolo della nostra storia.

Nel pomeriggio mi sono avventurato in un incerto viaggio con i trasporti pubblici yemeniti, ho infatti provato a spostarmi da un quartiere ad un altro per mezzo del dabab, un piccolo minivan bianco da 8-10 posti, che va in giro a suon di clacson e costa 20 ryal a corsa (7 centesimi di Euro, circa da pagare direttamente all’autista). Sul parabrezza, in basso a destra, c’è una tabella bianca o gialla in cui è indicato il numero e i nomi delle stazioni di partenza e di arrivo (esclusivamente in arabo). Non ci sono delle fermate prestabilite e, osservando il comportamento degli altri passeggeri, ho appurato che questo piccolo bus si arresta su richiesta, in qualsiasi punto della strada, in qualsiasi momento tu voglia scendere. Per prenotare la fermata basta urlare al conducente ‘ala janb (letteralmente “di fianco”, che sta più o meno per “accostati”). Se non ti dovesse sentire non c’è problema, a catena, qualcun altro più vicino al posto di guida di sicuro lo ribadirà per te. Le donne, invece, preferiscono non sbraitare, non sarebbe né elegante né ben visto, così per ovviare al mancato urlo battono la monetina sul finestrino per tre o più volte. Pure in questo caso qualche uomo farà da portavoce, nell’eventualità in cui l’autista non dovesse captare il segnale. Bisogna adattarsi ma non sembra troppo difficile… mi servirà giusto un po’ di tempo. Intanto oggi ce l’ho fatta!

In giro per le strade mi diverto a vedere tutti questi uomini con lo sguardo vagante e la guancia gonfia (soprattutto dopo pranzo)… la cosa più esilarante è che anche i bambini fingono di “masticare” per sembrare adulti… il qat è decisamente una tradizione inscindibile dagli yemeniti! Ancora non l’ho testato ma già gli studenti desiderano che lo faccia in loro compagnia… mah… chissà se più avanti me ne convincerò!

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Domenica 18 novembre 2007 – ‘aaaaala jaaaanb!ultima modifica: 2019-08-25T14:20:27+02:00da chumbawumba
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