Sabato 17 novembre 2007 – Sergio, ti presento i ragazzi del primo anno…

Sabato 17 novembre

Manca soltanto un giorno e sarà tempo di cimentarmi in un ruolo a me ignoto, quasi mistico: l’insegnamento. Da domani, infatti, indosserò ufficialmente la veste di lettore di italiano all’università di Sana’a. Già, col solo turbinio del pensiero, avverto i crampi che pian piano mi stanno stritolando lo stomaco come il pugno di una persona appesa nel vuoto stritolerebbe una corda per non cadere giù. Ancora 24 ore e mi toccherà stare alle spalle di una cattedra, stare dal lato opposto rispetto a dove, sin dall’asilo, sono stato abituato a stare; io la cattedra l’ho sempre vista e temuta dai banchi di scuola e della facoltà; al massimo, mi ci sono accostato per essere interrogato, più o meno brutalmente.

Come ho scritto qualche pagina fa, giorni addietro ho incontrato gli studenti della seconda classe. Oggi, invece, E. mi introdurrà alla classe del primo anno, quella dei nuovi entrati, le matricole. Così, mi sono recato al dipartimento.

Con il cuore che batteva ad un ritmo più incalzante del normale, ho respirato profondamente e fatto il mio timido ingresso nell’aula. Il silenzio e l’imbarazzo generale, intorno al mio sorrisetto da ebete, regnavano sovrani.

Nella platea, trovo seduti circa 35 giovani studenti. Ciò che immediatamente risalta all’occhio è la separazione netta della classe in due aree: la fascia destra e la fascia sinistra. No, non è affatto lo schieramento politico.

Da un lato tutti i ragazzi che indossano, perlopiù, camice vintage a righe e a tinta unita, talvolta coperte da giacche marroni oppure grigiastre più larghe del dovuto che giungono fino alle cosce, pantaloni di gradazioni affini alle giacche tirati su fino a sotto l’ombelico e tenuti stretti da vistose cinture, sandali. Qualcun altro, invece, cerca di allinearsi alla moda europea con jeans e magliette, esattamente come si usa dalle nostre parti.

L’altra fascia, quella alla destra dell’aula, è dominata dal nero. Tanti occhi, poche facce, solo tre hanno il volto scoperto. Sono le studentesse. Tutte mi osservano, mi analizzano sospinte da un pizzico di curiosità e trasgressione. Alcune, nonostante quella barriera di cotone lucido e tenebroso, non sono in grado di celare furtivi sogghigni, a tratti vagamente maliziosi; le loro pupille, in quel silenzio assordante, sembrano essere capaci di comunicare più di quanto una lingua riuscirebbe a fare. Quegli sguardi ti mettono in uno stato di soggezione, non si gioca alla pari. Inoltre, mi chiedo come minchia farò a distinguere le une dalle altre?

Tutto è così diverso, affascinante. È come se fossi piombato in un mondo parallelo dove nulla è scontato.

In loro presenza, ho ostentato sicurezza ma non mi vergogno a confidarvi che, allo stato attuale, mi cago sotto nel dover affrontare questa assurda e meravigliosa avventura. Ansia che si mischia ad una carica di adrenalina ed eccitazione… andrà tutto liscio in sha’ Allah (se vuole Dio)!

Di sera sono stato invitato ad una cena nella residenza dell’ambasciata italiana. Primo invito ufficiale. Seppure non conoscessi nessuno, dovevo esserci, lì soltanto posso entrare in contatto con la comunità italiana. Dopo aver superato l’iniziale fase di imbarazzo e scazzo, ho preso un po’ di confidenza. Poco dopo ho realizzato che, tra gli invitati in quella cena, erano presenti l’ambasciatore di Francia, un rappresentante di spicco della delegazione dell’U.N.D.P., un paio di archeologi che lavorano in un sito a Ma’rib, altre personalità di rilievo e… poi… poi c’ero IO… il fuori luogo per eccellenza. Cosa centravo con quelle persone? Me lo sono chiesto per tutto il corso della sera! La risposta me la sono data in seguito: NULLA. Però, nel bel mezzo della serata, mi sono ritrovato a discorrere con il diplomatico francese e in poche ore, siamo diventati praticamente migliori amici. Parlava perfettamente italiano. Io e lui, nello Yemen, in una residenza d’ambasciata, a parlare di Sicilia, mafia, cultura araba e un mucchio di altri argomenti interessanti… sì, proprio così! Un uomo di incredibile caratura, un pozzo di cultura, davvero.

Tra gli altri partecipanti alla cena, non poteva mancare la folkloristica signora snob, aristocratica, ben vestita, imbellettata, ingioiellata, con i capelli voluminosi, tinti di rosso e l’accento milanese enfatizzato da una “R” moscia alla francese (bravissima donna, per carità, soltanto un filino pittoresca!). Di tanto in tanto, tra di noi passeggiava timidamente un cameriere che, con la giacca bianca abbottonata fino al collo e dei bottoni dorati, con un vassoio argentato, ci offriva qualcosa da bere – come nei film o negli ambienti di alta borghesia, a me estranei. Continuavo a sentirmi un tantino fuori luogo, ma cercavo di adattarmi all’habitat circostante. Nel momento in cui hanno intrapreso una straordinaria discussione sui diritti degli animali e la stessa si è protratta per circa tre ore, ho appurato che quella sera, sì, io ero fuori luogo, anzi, non centravo proprio un cazzo, per dirla alla francese. Ma poi, cosa sarebbero i diritti dei gatti? Tipo un sindacato? I gatti… ma davvero dicevano?

Scherzi a parte, è stata una bella serata e, comunque, una nuova esperienza!

Adesso mi auguro di dormire… tra la costituzione degli animali e la tensione per domani, vediamo se la mente riesce a spegnersi!

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Sabato 17 novembre 2007 – Sergio, ti presento i ragazzi del primo anno…ultima modifica: 2019-08-17T13:43:57+02:00da chumbawumba
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