14 Novembre 2007 – Da oggi sono ufficialmente Yemenita!

Mercoledì 14 Novembre 2007

Ho aperto gli occhi con una fievole consapevolezza di trovarmi molto lontano da casa. È rimasta fievole per brevissimo tempo. Poi, ho bruscamente realizzato che non sto sognando, che quella che sto vivendo, seppur assurda, è la realtà. Ehi ehi! Sono stato catapultato nello Yemen per davvero!

Il bagno in questa stanza è terrificante e non c’è una minchia di bidè! In compenso ho notato un consolatorio spruzzino attaccato di fianco al water… piuttosto che niente è meglio piuttosto…

Qualche biscottino portato dall’Italia per non rimanere a stomaco vuoto ed è tempo di prepararmi. Osservandomi allo specchio ho notato delle occhiaie in proiezione ortogonale che si estendono fino a quasi l’altezza delle guance, d’altronde non ho dormito come avrei desiderato. Le tre ore di fuso e la tensione hanno contribuito a rendere il mio sonno estremamente labile. Forza e coraggio, Sergio, ti aspetta il tuo primo giorno!

Tra poco incontrerò la docente che mi farà da “tutor”.

Sono pronto e, come si suol dire dalle mie parti, allicchittatu con una camicia bianca e l’unica cravatta che ho, arancione. Provo a immaginarmi quale possa essere il suo aspetto fisico. L’ho sentita un paio di volte al telefono ma non l’ho mai vista. Sarà coperta da una di quelle lunghe abaya* nere? Forse avrà deciso di indossare un velo che copre in parte i capelli per rispetto verso le tradizioni locali? Chissà…

D’improvviso spunta un’auto di fronte al portoncino di ingresso dell’ostello dove ho pernottato. Fa una mezza frenata. È una Suzuki Vitara rossa, vecchio modello, di quelle 4×4 con la ruota di scorta appesa sul portello anteriore. Viene giù E.

Tutte le mie supposizioni mentali si dissolvono in un attimo, come fumo al vento.

È una signora bionda, con degli occhiali da sole, jeans e maglietta, niente veli, niente tradizione. È Veneta, fino al midollo. Di Vicenza. Entro subito in simbiosi con lei, mi piace il suo modo di fare. Va dritta al punto, mi spiega in cosa consisterà il mio ruolo: dovrò insegnare alle classi prima e seconda le seguenti materie di Italiano: lettura, scrittura, parlato. E fin qui tutto liscio.

  • E poi, Sergio, a questi ragazzi dovrai insegnare la Grammatica italiana.

Sulle mie labbra appare un sorriso formale da demente che nasconde il mio timore. La grammatica… e chi cazzo l’ha insegnata mai? Ma le regole, io, le so? Quelle vere, intendo… e se le sapessi, le saprei anche spiegare? L’ultima volta che ho avuto un rapporto ravvicinato con la grammatica italiana sarà stato alle scuole elementari, quando avevo un caschetto di capelli lisci in testa. Vabbè, troverò un modo.

In macchina con E., ci siamo recati in facoltà, al qism al-luġa al-Italiyya, ossia il dipartimento di lingua italiana. Intorno, si vedono tanti studenti, assetati di cultura, che reggono dei libri in mano, ma anche moltissime studentesse, loro però indossano il niqab*. Gli uni dalle altre stanno separati. Tutti si voltano e osservano con curiosità questo U.F.O. con degli alieni all’interno, cioè noi.

E. mi ha portato in una delle sue classi, quella del secondo anno. Sono teso, ho le mani sudate, ma mi atteggio a persona rilassata e sicura di sé. Dentro, mi imbatto in una decina di ragazzi, nessuna ragazza. Mi guardano circospetti, qualcuno di loro borbotta qualcosa ai vicini, fanno mezzi sorrisetti, si trattengono. Evidentemente mi stanno prendendo per il culo. Già, così. Manco il tempo. Fuori dall’aula, una studentessa del terzo anno, col volto scoperto (indossa l’hijab) si è avvicinata a me, mi da il benvenuto, mi dice in un discreto italiano che il mio arrivo era atteso, era stato già annunciato da diverse settimane.

All’università ho conosciuto qualche altro professore e il preside. Un tipo affascinato dalla cultura occidentale, filo-americana, ma con dei canoni da dirigente arabo.

L’ultima tappa è stata l’ambasciata italiana. Ho fatto una chiacchierata con l’ambasciatore e gli altri funzionari. L’atmosfera è estremamente informale, addirittura sono stato invitato dal grande capo in persona per una cena nella sua residenza nei prossimi giorni.

A pranzo E. mi ha portato in un ristorante locale. Abbiamo dovuto chiedere le posate (non è da standard usare forchetta e coltello, le posate sono le mani). Qui i piatti vengono condivisi tra i commensali, è un momento di unione, contatto. Anche noi ci siamo adattati e abbiamo preso un piatto per due. Abbiamo divorato un delizioso pescione speziato (fresco, nonostante i 2200 metri di altezza), preparato al cartoccio e un pane a dir poco emozionante con dei semini di papavero sparsi sopra, in arabo “khobz”. Credo che diventerà una droga.

Per le strade di Sana’a, non si può evitare il faccia a faccia con il volto della miseria. Sono tanti i bambini di tenera età, con degli occhi splendenti e tristi, che stanno per strada a vendere qualcosa, a chiedere l’elemosina, a indicare il cielo con un indice – in nome di Dio… in ogni semaforo delle arterie principali ne capiti sei o sette. Mi angoscia la consapevolezza di non poter fare nulla per aiutarli.

La sera sono stato invitato a una festa organizzata in onore di un medico italiano, P., che si trasferisce in Africa dove continuerà a fare del bene: mi sono bastate poche ore per comprendere che quest’uomo avesse un animo di quelli che ti piacerebbe vederne di più in giro.

Buonanotte. A domani.

*Abaya: tipico indumento che indossano le donne musulmane particolarmente nel Golfo.

*Niqab: velo che nasconde tutto il corpo, compreso il viso, ma lascia scoperti gli occhi.

*Hijab: velo che nasconde i capelli, ma lascia scoperto il volto.

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14 Novembre 2007 – Da oggi sono ufficialmente Yemenita!ultima modifica: 2019-07-27T15:00:56+02:00da chumbawumba
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